La seduta attiva
Un’intervista con il dottor Dieter Breithecker
Direzione del Bundesarbeitsgemeinschaft für Haltungs- und Bewegungsförderung e. V. (Gruppo di lavoro federale per la promozione della postura e del movimento)
Sempre più persone trascorrono sempre più tempo sedute. Il lavoro al computer e le riunioni caratterizzano la vita quotidiana in ufficio: con la digitalizzazione del lavoro, che procede a velocità esponenziale, questa tendenza non potrà che intensificarsi. Questo andamento, tuttavia, si pone in assoluta contraddizione con le nostre esigenze genetiche fisiologiche. In un’intervista con Dieter Breithecker scopriamo perché il suo motto “sedersi quanto è necessario, muoversi quando è possibile” è così importante per il nostro benessere e la nostra salute fisica e mentale, e in che modo datori di lavoro e collaboratori debbano assumersi la responsabilità di una nuova cultura dell’ufficio.
Sempre più persone trascorrono sempre più tempo sedute. Il lavoro al computer e le riunioni caratterizzano la vita quotidiana in ufficio: con la digitalizzazione del lavoro, che procede a velocità esponenziale, questa tendenza non potrà che intensificarsi. Questo andamento, tuttavia, si pone in assoluta contraddizione con le nostre esigenze genetiche fisiologiche. In un’intervista con Dieter Breithecker scopriamo perché il suo motto “sedersi quanto è necessario, muoversi quando è possibile” è così importante per il nostro benessere e la nostra salute fisica e mentale, e in che modo datori di lavoro e collaboratori debbano assumersi la responsabilità di una nuova cultura dell’ufficio.
Grazie alle informazioni diffuse dai media vi è una maggiore consapevolezza dell’importanza di muoversi di più. Ma cosa può fare il singolo individuo? Cosa conta davvero?
Tutto quello che dobbiamo fare è ricordare la nostra evoluzione. Se vogliamo trovare soluzioni, dobbiamo guardare al passato e alla storia umana. Anticamente, l’uomo difficilmente sarebbe potuto sopravvivere stando seduto. Gli attuali studi di intervento indicano che una riduzione significativa del “comportamento sedentario” e interruzioni regolari (ogni 20-30 minuti) del tempo di inattività raggiungono risultati positivi per il metabolismo degli zuccheri e dei grassi e per la sensibilità all’insulina. Gli esperti chiedono quindi a datori di lavoro e collaboratori di ripensare le proprie modalità lavorative. Almeno due – meglio quattro – ore del tempo di lavoro giornaliero al computer non devono essere trascorse seduti, ma in piedi e spostandosi tra i diversi ambienti di lavoro. I processi biochimici positivi per la nostra salute fisico-mentale possono già essere ottenuti attraverso attività fisiche da leggere a medie, a condizione che si svolgano regolarmente e siano integrate nella routine lavorativa quotidiana. Questo implica l’instaurarsi di una nuova cultura dell’ufficio, con nuove forme di lavoro e ritmi fisiologici. Il movimento non avviene più esclusivamente in compensazione del lavoro, ma movimento e attività lavorativa si fondono tra loro. Il mondo del lavoro dovrà interessarsi molto di più al movimento come qualcosa di spontaneo e naturale. È qui che si trovano le maggiori risorse, non ancora utilizzate a sufficienza, per migliorare la qualità della vita e quindi anche la motivazione alla performance.
Quindi, c’è un solo modo per uscire dalla “trappola della pigrizia”: la ricetta gratuita per la salute e la produttività sono i cambiamenti regolari di postura, così come la gestione in autonomia di una modalità lavorativa e uno stile di vita attivi. Tutto ciò che serve è un’organizzazione e una pianificazione. Le telefonate devono sempre essere fatte in piedi o camminando avanti e indietro, perché aiuta particolarmente a riflettere. Le riunioni e gli incontri non dovranno più essere svolti da seduti ma su tavoli alti, e i meeting tra pochi mentre si cammina (“Walk and Talk”) e preferibilmente all’esterno. Ogni scala è un “fitness trainer” gratuito. I processi quotidiani vanno organizzati in modo tale da utilizzare molti percorsi: ad esempio, spostando e decentralizzando stampanti, fotocopiatrici o cestini per la carta straccia. Non inviare e-mail ai collaboratori, ma recarsi da loro personalmente. La passeggiata della pausa pranzo è il presupposto per garantire freschezza fisica e mentale del pomeriggio.
Quindi non importa su cosa si è seduti se nel frattempo ci muoviamo a sufficienza?
Vorrei illustrare questa domanda con un esempio. Sei un appassionato escursionista fai una gita di 5 ore; in questo caso, per una breve pausa di circa 15 minuti è indifferente stare seduti per terra o su una panchina di legno duro. Se, invece, stai seduto su una panca di legno per cinque ore e cammini solo per 15 minuti, provi un enorme disagio. In pratica: meno i bambini, gli adolescenti e gli adulti stanno seduti e fanno esercizio fisico nei modi più svariati, meglio sarà per la loro salute e il loro benessere. Tuttavia, nonostante tutti gli sforzi (ad esempio utilizzando postazioni sedute che si trasformano in postazioni in piedi) le attuali esigenze di lavoro rendono ancora necessario che molto tempo, in alcuni casi più di 7 ore, sia trascorso fermi a sedere. Questo dovrebbe avvenire su sedute che tengano conto delle esigenze individuali di un essere umano attivo e non solo della sua corporatura o di qualsiasi dogma ortopedico-biomeccanico. Le sedute dovrebbero consentire i complessi adattamenti funzionali (e posturali) di un unicum “mente-corpo-psiche”, in funzione delle sue esigenze specifiche.
Lei chiede di utilizzare sedie girevoli per ufficio che consentano una “seduta attiva”. Qual è la differenza rispetto alla “seduta dinamica” già reclamizzata dalle aziende del settore?
Ci sono slogan che vivono di vita propria senza essere messi in discussione qualitativamente: “seduta dinamica” è uno di quelli. Ma c’è movimento e movimento. Un’analisi più dettagliata della maggior parte dei prodotti offerti sul mercato rivela che l’azione dinamica si verifica solo nelle articolazioni dell’anca. Ma questo non è sufficiente a bilanciare il bisogno di un sistema attivo, con il suo gioco di interazioni fisiche, mentali ed emotive. A giusto titolo, Leonardo da Vinci l’aveva già formulato: “Tutta la vita è movimento”. È la nostra genetica, e da essa dipende tutta la nostra complessa fisiologia. Stare seduti immobili non è uno stato biologico e significa, usando una formulazione esagerata, semplicemente morte.
La seduta attiva va quindi al di là delle raccomandazioni sulla seduta dinamica, ad esempio di quanto viene pubblicizzato sul meccanismo sincrono o sui cambi organizzati e regolari della postura seduta. Non è possibile raccomandare o insegnare la seduta attiva, che deve essere in grado di svolgersi spontaneamente e in modo complesso sulla base di esigenze fisiche, mentali ma anche psicologiche. Il punto cardine è una funzione di movimento multidimensionale della superficie di seduta, indipendente dal meccanismo sincrono, con attenuazione progressiva, spesso definita funzione tridimensionale (3 D) della seduta. Ciò si traduce in una complessa interazione dei segmenti bacino, gambe, spina dorsale, spalla e testa come unità funzionale. Come quando stiamo in piedi, durante la seduta si verificano complessi e spontanei micro e macromovimenti (cambiamenti di posizione) adeguati alle singole esigenze. Di solito, tuttavia, non ne siamo consapevoli. L’aspirazione umana al benessere fisico e mentale è plasmata da modelli evolutivi. Fino a qualche migliaio di anni fa, l’uomo si accovacciava, si inginocchiava, si sdraiava, stava a terra e si muoveva in media per più di 15 km al giorno. Raramente passava molto tempo seduto. Queste esigenze comportamentali fisiologiche per il mantenimento del nostro benessere fisico, mentale ed emotivo sono le stesse anche oggi. Lo affermava anche Goethe: “Stare comodamente seduto annulla i miei pensieri.”
Questo significa che la “seduta attiva” si svolge autonomamente insieme alle funzioni corrispondenti della sedia, senza che noi ce ne accorgiamo?
L’organismo umano è, come già descritto, un sistema complesso in cui gli equilibri instabili sono costantemente mantenuti da reazioni metaboliche. Questo consente un enorme spettro di soluzioni autonome – non controllate dalla coscienza – per favorire adattamenti rapidi e funzionali a condizioni o esigenze variabili. Così facendo, il sistema umano è in grado di reagire in modo auto-organizzato, a seconda delle necessità, alla manifestazione latente di un disagio. Ciò significa che possediamo una capacità autodinamica di organizzazione / regolazione adattiva per evitare la disorganizzazione del comportamento. Dobbiamo questa capacità alla nostra area cerebrale “più vecchia” dal punto di vista evolutivo, che regola i processi funzionali elementari e vitali. I processi di controllo funzionale bypassano la neocorteccia, un’area cerebrale “più giovane” dal punto di vista dello sviluppo, consentendo processi di pensiero più elevati, come ad esempio le soluzioni strutturate. Solo in questo modo possiamo reagire in modo rapido e appropriato ai segnali di stress provenienti dal corpo, per esempio, prima ancora di aver compreso cosa sta accadendo. Questa capacità si manifesta in un alto grado di irregolarità (entropia), poiché questo sistema complesso e ben regolato diventa attivo quando viene segnalato un bisogno fisico, mentale o emotivo. Questo è più evidente in una persona in piedi. L’alternanza irregolare e inconsapevole del carico tra la gamba libera e la gamba d’appoggio così come l’oscillazione intorno al corpo avvengono in modo completamente autonomo. Anche un oratore emotivamente e mentalmente preparato raramente sarà in grado di convincere il suo pubblico stando fermo in piedi. La vita mentale, fisica ed emotiva è sempre movimento e non deve mai portare a una posizione statica.
Il risultato è che non esiste una seduta corretta e ideale?
Una “corretta seduta” o “seduta ideale” – sulla base dei paradigmi conosciuti fino ad oggi – non è una raccomandazione valida per persona sana, e allo stesso modo non esiste una “postura eretta corretta/ideale” o una “respirazione corretta/ideale”. In casi eccezionali, come il decorso post-operatorio, vi possono essere limitazioni temporali di comportamento. Ma un organismo sano ha così tanta “intelligenza” fisiologica ereditata geneticamente da automatizzare fortemente – ammesso che vi siano le giuste condizioni – le proprie funzioni naturali e viverle secondo le necessità. Ne è un esempio il sistema respiratorio cardiovascolare, che si adatta in modo complesso alle diverse esigenze. Lo stesso vale per la “seduta ideale”, una funzione che richiede una superficie di seduta mobile e tridimensionale, indipendente dal meccanismo sincrono. Anche in questo caso, come nello stare in piedi, si può instaurare una dinamica posturale fisiologica senza il nostro controllo consapevole. Questo controllo autonomo della postura senso-neuro-muscolare a sua volta innesca complessi meccanismi d’azione biochimici e quindi psichici. Nel corso delle moderne tecniche di imaging, negli ultimi anni gli scienziati sono stati in grado di dimostrare l’intreccio interattivo dei processi fisici, psichici e mentali. “Muovi il corpo e la mente ti seguirà”. Il movimento, e qui non solo l’attività sportiva, stimola il metabolismo del corpo e del cervello e fornisce una maggiore vitalità fisica e mentale. La scienza è unanime: l’esercizio fisico non genera solo la salute del corpo, ma è decisivo anche per migliorare le prestazioni di apprendimento e la produttività, contrasta la depressione e promuove il potenziale umano nel suo complesso.
Cosa può fare il datore di lavoro e dove emerge una responsabilità condivisa da parte dei collaboratori?
Ogni collaboratore di un’azienda rappresenta una risorsa importante. Rafforzare il potenziale fisico e mentale dei collaboratori durante l’orario di lavoro e consentire loro di sviluppare appieno il proprio potenziale dovrebbe essere una preoccupazione fondamentale di ogni filosofia aziendale. Per questo motivo, le discussioni sui concetti di spazi di lavoro orientati alle esigenze biologiche, psicologiche, sociali e umane dei collaboratori sono molto utili per qualsiasi azienda. Al centro del dibattito vi è sempre l’interazione tra uomo e spazio. “Prima la persona modella il suo ambiente, poi l’ambiente modella la persona”. L’ambiente di lavoro di una persona è il suo spazio vitale per almeno otto ore al giorno e, in condizioni ideali, uno spazio di benessere, di sviluppo della salute individuale, di scambio sociale e di valore aggiunto intellettuale e quindi imprenditoriale. Questo significa che, in relazione alla nostra richiesta di allestimenti mobili (luce diurna, acustica, ecc.), per soddisfare le esigenze personali in termini di ritmizzazione – naturale alternanza tra tensione e distensione, carico e riposo – e quindi il benessere dell’individuo, lo spazio di lavoro dovrebbe offrire “zone” variabili e quindi celatamente “invitanti” per soddisfare i bisogni biopsicosociali e le necessità lavorative importanti. Ciò implica, ad esempio, la presenza di spazi aperti o chiusi sia per il lavoro in team e di gruppo, sia per quello individuale. Inoltre, è necessario disporre di ambienti in cui ritirarsi in tranquillità, stare in relax e scambiare informazioni in modo discreto e aperto. Anche la presenza di spazi per praticare una specifica attività fisica o un gioco rilassante non dovrebbe essere qualcosa di inconcepibile. Queste aree circoscritte offrono al collaboratore anche la sicurezza di sapere che le sue esigenze – ad esempio un breve riposo – godono di un’accettazione sociale.
Allo stesso tempo, tuttavia, ciò richiede anche un trasferimento di competenze (competenza personale, formazione) ai lavoratori, che devono assumersi la responsabilità di se stessi e diventare codecisori, con l’obiettivo di un cambiamento positivo dello stile di vita, anche nel tempo libero. Il “cambio di postura” è necessario sia per la direzione che per i collaboratori. Per poter sviluppare nel lungo termine un comportamento individuale basato sui bisogni, il collaboratore deve diventare anche un codecisore (artefice o esperto di sé) ed essere coinvolto nel processo di creazione di un ambiente di sano sul lavoro e nella vita quotidiana. Ciò impedisce una cieca fiducia nei miti e l’elaborazione di misure lineari, e garantisce un elevato livello di “compliance” e di “empowerment”. Per poter essere codecisori, è necessario dar prova della relativa competenza decisionale.